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2010 «
Lucio Lami ha commemorato con alcuni illustri uomini
di cultura il poeta Mario Luzi, a cinque anni dalla morte

Milano. Commemorazione di Mario Luzi al Salone degli
Affreschi della Società Umanitaria.
Il 12 aprile 2010, nel Salone degli Affreschi della Società
Umanitaria di Milano, è stato commemorato il grande poeta
Mario Luzi, a cinque anni dalla morte. L’evento
è stato voluto dal Pen Club del quale Luzi
fu presidente per quasi un decennio. Hanno ricordato l’amico:
Sebastiano Grasso presidente del PEN Italia, il
poeta Maurizio Cucchi, il direttore del Corriere
della Sera Ferruccio De Bortoli, Egidio
Fiorin, editore dei libri d’arte di Luzi
e Lucio Lami che per tutti quegli anni fu accanto
a Luzi come vicepresidente del Pen Club. Alessandro
Quasimodo ha letto alcune poesie di Luzi,
che poi sono state cantate su musiche di autori classici da Serena
Pasquini accompagnata al pianoforte da Maria Silvana
Pavan.
Ecco l’intervento di Lucio Lami.
Quando nel 1988 Mario Soldati, del quale ero vicepresidente, mi
avvertì che, per ragioni d’età, intendeva lasciare
la presidenza del Pen, convocai l’assemblea dei soci ed eleggemmo
Mario Luzi.
Luzi accettò volentieri la carica, ma mise una condizione:
non intendeva occuparsi di problemi organizzativi né dei
contatti con la casa madre di Londra. All’opposto di Moravia,
che aveva diretto il Pen, quello italiano prima e quello Internazionale
poi, da protagonista sempre in movimento, Luzi scelse di restare
nel suo hortus clausus fiorentino, sempre vigile, costantemente
da me informato dalla sede di Milano, ma poeticamente protetto da
incombenze che riteneva distraenti. Eppure, per oltre un decennio,
la sua presidenza fu tutt'altro che disattenta, e la sua conduzione
di questa famiglia di centinaia di scrittori fu sempre improntata
all’impegno civile e morale.
Le telefonate settimanali di Mario erano affascinanti. Egli iniziava,
solitamente (con un fil di voce), prendendo in esame la situazione
del momento dal punto di vista culturale e politico, sempre immerso
in un suo pessimismo profetico, nel quale barluginava una certa
speranza cristiana. Senza mai perdere la mitezza della voce e la
poesia delle immagini, era capace d’impuntature toscane inesorabili,
ora in difesa di qualche autore perseguitato, ora in attacco per
situazioni politico-culturali che riteneva inaccettabili. Quanto
agli scrittori, non lesinava giudizi, a volte positivi, a volte
caustici, focalizzando con poche parole l’inconsistenza stilistica
o la fragilità morale di personaggi portati alla ribalta,
soprattutto dalla televisione. Spesso usava come una frusta quella
che un critico aveva definito la sua “schifiltosità
spirituale”; in realtà pensava con Shiller che è
un errore voler piacere a tutti.
Quando gli leggevo l’elenco dei nuovi scrittori ammessi come
soci dal direttivo, riservava ad ogni nome un monosillabo o un leggero
mugugno che avevo imparato a decifrare come segni d’assenso
o di rassegnazione. A volte era egli stesso a suggerire qualche
scrittore di talento da associare. In qualche occasione, come sopraffatto
dal fastidio, suggeriva l’arruolamento caritativo di qualche
giovane scrittrice tratta dallo stuolo delle sue devote ammiratrici.
Della sua carica di presidente non parlava mai, quasi che non si
dovessero creare sovrapposizioni d’immagine. Nelle interviste
non la citò mai e quando glielo rimproverai mi rispose che
le cariche poco si adattano alla poesia. Come poeta, invece, si
esponeva in modo forte, inaspettato per chi lo contemplava perennemente
assorto e con lo sguardo perso oltre il visibile.
Quando gli dissi che volevamo fondare un Premio Letterario, sganciato
dall’editoria, fu molto interessato: “I premi, quelli
seri, disse, devono semplicemente premiare il merito”.
Fu in coerenza con questo concetto che attese a lungo, senza farne
mistero, il Nobel. Ogni anno, quando dalla Svezia arrivava al nostro
ufficio la scheda per candidare uno scrittore italiano, Luzi mi
telefonava: “Hai votato?”. “Si, a nome del Pen
italiano ti abbiamo candidato”.
Al terzo vano tentativo gli dissi: “Ho l’impressione
che né il voto nostro né quello dei Lincei serva a
molto: il Nobel ormai è un premio molto politico. Forse non
siamo noi a poterti aiutare…” Ci fu un lungo momento
di silenzio al quale seguì una insolita risatina sarcastica”
Ah, gli amici della politica!…”
Si consolò non mancando mai al nostro Premio Pen, nel castello
di Compiano. Amava il clima rilassato, quasi arcadico, della manifestazione,
durante la quale decine di poeti e di scrittori che lo stimavano
gli facevano corona e dove incontrava vecchi amici come Bartolucci,
Soldati, Pontiggia… Erano quelli gli unici momenti in cui
il poeta e il presidente diventavano una cosa sola.