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» Articoli - 10 novembre 2004 «

L'ossessione antiamericana

Nell’inverno del 2002, Jean-François Revel mi fece arrivare il suo ultimo libro, “L’obsession anti-américaine”, edito da Plon, con una bella dedica per la nostra ventennale amicizia. Gli telefonai per domandargli chi avrebbe stampato l’edizione italiana e mi sentii rispondere che non lo sapeva, “che c’erano delle difficoltà”. Non mi stupii. Revel, fresco accademico di Francia, erede spirituale di Aron, conosciuto in tutto il mondo come uno dei più grandi saggisti politici europei (in America Latina non c’era libreria sprovvista del suo “Come muoiono le democrazie”), non era amato in Italia dagli intellettuali nostrani, anche se era ben noto fin dal 1971, da quando cioè il suo saggio “La tentazione totalitaria”, pubblicato da Rizzoli, era diventato oggetto di dibattito politico internazionale. La sua collaborazione assidua al Giornale di Montanelli lo aveva segnato.

Quasi vent’anni dopo, un altro suo bestseller mondiale, “La conoscenza inutile”, veniva edito in Italia, con qualche arbitraria correzione, dalla Longanesi. Pochi si domandarono perché la Rizzoli non si fosse tenuto stretto un autore di tanto prestigio.

Adesso, se è finalmente uscita la versione italiana de “L’ossessione antiamericana” lo si deve a un piccolo editore di Torino, Lindau, che pubblica onorevolmente anche i saggi di Glucksmann, Cooper e Podorez, ma il cui spazio nelle librerie è quello che i grandi editori concedono a chi si permette il lusso dell’anticonformismo e della qualità.

Anche a Parigi la rabbia dell’intellighenzia si fa sentire contro chi osa attaccare, con brillante razionalismo, uno dei pilastri del politically correct, l’antiamericanismo di maniera, ma ciò non impedisce a Revel di avere un grande editore e una distribuzione tale da consacrare il suo successo. Da noi è diverso: si guarda con sufficienza all’uomo che – come scrive il Corriere – “ostenta ruggendo la forza delle proprie idee e verrà in Italia a sbandierarle, perché l’editore Lindau ha tradotto la sua opera”. Ah, quel Lindau!

Revel è già venuto in Italia, per poche ore, invitato da un centro studi torines ( il CIDAS) per parlare di Islam e Occidente. Non ha sbandierato nulla, ma ha ribadito le sue tesi: l’odio per l’America è frutto della cattiva conoscenza e dei fallimenti europei. Mi è parso stanco e per la prima volta consapevole della sua stanchezza, ma deciso a non entrare nel coro.

“L’Europa – mi dice – è vittima della sua inconcludenza. Poteva approfittare del secondo mandato di Bush per proporre una propria politica, invece non fa nulla, neppure diplomaticamente, continua imperterrita a non far nulla, come se il terrorismo non la riguardasse. Si affida all’esercizio sterile dell’odio per la superpotenza. Una forma di isteria collettiva."

"Da noi, in Francia, quest’odio non appartiene solo alla sinistra, come da voi, ma anche alla destra. La sinistra combatte il liberismo servendosi del livore antiamericano. La destra predica l’isolamento, accusando gli Usa di colonizzazione culturale dell’Europa. Nel diffondere quest’odio irrazionale si falsano le realtà, si mistificano i dati, si trasforma in moda culturale un falso storico. Accade un po’ come in Africa, dove qualsiasi dramma o disavventura è attribuita a noi, a mezzo secolo dalla fine delle colonie”.

“Dipingere gli Stati Uniti come società repressiva, ingiusta, quasi fascista, è un modo per sottintendere: ecco che cosa succede quando, caduto il comunismo, non resta che la prospettiva del liberismo”.

Quello di Revel è un discorso che viene da lontano: il suo primo libro di grande successo, “Né Cristo, né Marx” (1970) era nato proprio dal confronto tra quanto in Europa si diceva dell’America e quanto Revel aveva visto, soggiornando a lungo negli States. Un libro polemico, del quale l’attuale saggio è la naturale continuazione, un libro che già allora aveva scatenato le ire del conformismo intellettuale.

Revel passa in rassegna tutte le contraddizioni degli antiamericani. Non bisogna attribuire agli Usa una decadenza europea derivata dall’ingordigia dei Paesi che decisero di appropriarsi di mezzo mondo con le colonie (l’America non ha mai avuto colonie), Paesi che tentarono due volte il suicidio con due guerre mondiali nell’arco di pochi anni, che ancora nel 1990 avevano l’obbligo di sistemare le rovine lasciate dal comunismo, del quale i dirigenti politici europei non avevano mai capito nulla.

Sottolinea la contraddizione di chi rigetta acriticamente il mondialismo, dopo aver idolatrato per anni l’internazionalismo (“Per loro il mondialismo è buono se ideologico, cattivo se economico”). Denuncia l’ottusità di un odio che ha spinto tanti europei, esattamente come gli integralisti islamici, a considerare la distruzione delle due torri di New York come “la giusta punizione” per la potenza americana e che ora rende ciechi davanti al pericolo del terrorismo. Documenta il semplicismo dei dirigenti europei che non riescono ad affrontare nessuna situazione, neppure quella vecchissima dei Balcani, senza appellarsi agli americani, salvo poi istruire un processo nei loro confronti.

“Il meccanismo della ‘menzogna sconcertante’ nei confronti dell’America, volontaria o involontaria, praticata da tanti intellettuali, politici e giornalisti, evoca la menzogna simmetrica e generalizzata che, dopo il 1917, giocava in senso inverso, a favore dei paesi comunisti”.

Revel sostiene che sugli Stati Uniti ci sono molte critiche da fare ma che l’antiamericanismo attuale non è animato da uno spirito critico che potrebbe essere costruttivo, ma da un’isteria dietro la quale si tenta di nascondere gli errori che sono alla base della decadenza europea e le infatuazioni di una classe intellettuale che non ne ha mai azzeccata una. Il libro colleziona impietosamente questi errori, mette a confronto i peccati americani (come il sempre sbandierato eccidio dei pellerossa) con i milioni di vittime delle guerre europee, ricorda i conflitti che gli Usa hanno ereditato da noi, dal Vietnam alla ex Jugoslavia, cerca di far capire che l’Europa è il pulpito meno adatto per certe crociate, visto quanto siamo disinformati.

Molti non condivideranno i suoi giudizi, pochi tuttavia potranno contestare il suo martellante apparato probatorio.

Ho cercato di dire a Revel che tesi come le sue, nella libera Italia, possono essere sostenute tranquillamente, purché non si cerchi di esibirle alla televisione o di pubblicarle con un ‘grande’ editore, ma lui, che ha scritto “Come muoiono le democrazie”, probabilmente era già al corrente.

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