» Articoli - 24 febbraio 2004 
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            Gibson, Messori e la politica 
            
L’interessante polemica a proposito del film 
              di Mel Gibson, tra Vittorio Messori e i suoi contraddittori, s’incentra 
              sempre più sugli aspetti teologici, ma sottace – a 
              mio avviso – quelli politici, che non sono di minor peso. 
              Tutto nasce dal fatto che la Passione di Gibson è 
              fortemente tradizionale, cosa che mette in crisi la sinistra, che 
              corteggia la Chiesa ecumenica, sociologica e post-conciliare; gli 
              ebrei, che dopo l’Olocausto sono diventati ipersensibili su 
              qualsiasi “chiamata di correo”, per lontana che sia 
              nel tempo, e la stessa Chiesa cattolica che considera il tradizionalismo 
              come un reperto del passato preconciliare, recuperato solo dalla 
              destra conservatrice. 
            
Politicamente parlando, il contrasto ha radici lontane. 
              Nel dopoguerra la Chiesa, che fino al 1945 era stata costantinianamente 
              con gli Imperi, accettò la democrazia la quale, secondo il 
              modello di Madison, tollera, in nome della pacifica convivenza, 
              tutte le religioni, con pari diritti, annullando intrinsecamente 
              il concetto di Verità assoluta, essenziale (super petram) 
              nel cattolicesimo. 
            
 L’imput sociologico della Chiesa, sposata 
              alla democrazia, ha comportato problematiche nuove. Innanzi tutto 
              il ritorno di una tentazione millenarista: l’idea di una società 
              terrena perfetta, da creare in questo mondo prima che nell’altro, 
              regolata più dall’amore che dalla giustizia. Poi, l’impatto 
              tremendo col marxismo, perversa imitatio del cristianesimo, 
              fino a restarne contaminata con la “Teologia della liberazione”. 
              Infine, un certo relativismo ideologico che costringe il Vaticano 
              da un lato a continui richiami su questioni di dottrina (dall’aborto 
              all’omosessualità) e dall’altro a glissare sulle 
              conseguenze di una secolarizzazione del mondo cattolico (dal degrado 
              del clero, alla relativizzazione del Vangelo). 
            
Entrata in concorrenza con la democrazia, la Chiesa 
              (nonostante i colpi di timone del Papa) lascia spesso alla seconda 
              la scelta delle armi, ne adotta le tecniche, cerca risposte razionali 
              là dove vigeva il credo quia absurdum, dovendo rispondere 
              a chi, operando nello stesso campo, le pone domande in termini storico-razionali 
              (così si affanna a far passare e ripassare al carbonio la 
              Sindone per accertarne il valore documentario), e ogni volta che 
              si aggrappa al dogma si sente attaccare, sul piano politico, da 
              chi, in campo sociale, ritiene di poterle insegnare qualcosa o da 
              chi promette di seguirla se accetta “di adeguarsi”. 
            
In questo contesto, i film come quello di Gibson 
              e le recensioni come quelle di Messori sono visti come ostacoli 
              all’”adeguamento” non solo dagli oppositori politici, 
              ma anche da larghe fasce di clero e dei credenti. 
            
Singolarmente, l’incidenza politica della Chiesa 
              fa sì che i suoi avversari, esterni ed interni, attacchino 
              chiunque dia segno d’intransigente fedeltà al Libro 
              (cosa che porrebbe ostacoli al progressismo teologico e politico), 
              mentre lo stesso attaccamento è considerato un pregio nei 
              musulmani, almeno in quelli non ancora deviati dalla politica. 
            
Secondo molti, questo atteggiamento, legato più 
              alle ideologie politiche che alla teologia, nasce dalla crescita 
              dell’ignoranza in campo religioso. Un acuto osservatore del 
              fenomeno, Alain Besançon, scriveva già qualche anno 
              fa: ”Da più di un secolo la Chiesa si sforza di promuovere 
              lo spirito sociale. Con ciò ha reso grandi servigi alla democrazia 
              e infatti quest’ultima ha cessato di perseguitarla. Ma la 
              Chiesa non aiuta la democrazia a guarire da quel deficit di Verità 
              che è il suo grande male segreto e devastante. Gli sforzi 
              della Chiesa darebbero maggiori frutti se rivolti a guarire da quel 
              deficit intellettuale che impedisce alla Verità, di cui essa 
              si dice detentrice, di fruttificare e di convincere”. 
            
L’impresa, evidentemente, non è facile, 
              in un mondo dove il messaggio religioso è affidato alla grande 
              comunicazione ed è sovrastato, spesso anche a causa del clero, 
              da quello politico. Per questo, ogni volta che qualcuno tenta il 
              rilancio delle Fonti, come ha fatto Gibson con la sua trascrizione 
              letterale della Passione, il messaggio viene distorto nell’ottica 
              politica e le fonti stesse sono messe in discussione, quasi che 
              la fede fosse una fatto razionale, da supportare scientificamente. 
            
Nello stesso tempo, l’accentuazione sociologica 
              nel discorso cristiano, fino a confondersi col discorso politico, 
              non guarisce l’uomo dalla privazione della Verità, 
              dalla riduzione della Verità ad opinione, anzi lo opprime 
              e lo mutila, come già avevano intuito intellettuali assai 
              diversi, da Tocqueville a Flaubert, da Nietzsche a Pégy. 
            
Evidentemente, sia Gibson sia Messori sono della 
              partita.