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» Articoli - 11 novembre 2001 «

Quali valori

Sulla caduta dei valori si piange da anni senza che l’esercizio lacrimatorio porti mai ad un’analisi sincera. Nel 1945, a guerra perduta, vennero messi in soffitta quelli vecchi: Dio, Patria, Famiglia. Dio, come ci spiegò Sartre “era morto”, la Patria, come ho trovato scritto in un sussidiario delle elementari, è concepibile solo nell’accezione fascista, la famiglia è stata esautorata nei suoi compiti educativi in nome della libertà totale dei minori. Il parricidio, da argomento psicanalitico ha finito spesso col diventare fatto di cronaca.

La scuola non porta più valori: per vent’anni, nel dopoguerra, ha insegnato senza educare, non avendo elaborato valori alternativi, poi ha smesso anche di insegnare trasformandosi in un organismo statale per il collocamento del precariato.

Naturalmente, la società, come ogni sistema, reagisce all’accumulo delle sollecitazioni. I giornalisti lo sanno, eppure, come notava recentemente Gabriele Calvi, si sono dati da fare per influenzare il sistema sociale con un genere specifico di informazioni, inquinandolo con disvalori e visioni distorte della realtà.

Nella civiltà del denaro e della fretta, la fonte più rumorosa di pseudovalori è rappresentata dai media che hanno creato una loro pseudocultura secondo la quale non conta essere, ma apparire, non conta valere ma essere conosciuti, non conta pensare ma saper dire. In questo contesto, possedere una cultura e un carattere ha senso solo se queste caratteristiche servono al successo. Se non servono a quello diventano risibili. Si arriva così all’inversione dei valori e persino la coerenza diventa un’anomalia che non sfugge a chi scrive trattati sull’utilità del voltagabbana.

La debolezza educativa della scuola produce giovani non attrezzati a difendersi dall’idea che il valore della vita consista unicamente nella ricchezza e nel successo. I modelli offerti dai giornali e dalla televisione trasudano questa apparente ideologia, non c’è media – per serio che si ritenga- che non trasudi gossip e non favorisca il “culto” dell’edonismo e della banalità.

È inutile che il Presidente della Repubblica si sforzi di reintrodurre la parola patria in una società che è uscita apolide dalle scuole e che poi è stata sommersa dal culto per i modelli più superficiali.

Ad ogni principio d’estate i media ci dicono che i valori nuovi sono quelli che fanno trend: il politico che esibisce la nuova barca, l’industriale che da in pasto ai fotografi la nuova amante, la banda dei personaggi dello spettacolo esibita come modello di vita. La via del successo e della ricchezza, intesa come strada obbligatoria e senza alternative, ingenera l’idea che tutta la vita vada orientata verso un solo scopo: la ricchezza, il potere, la notorietà.

Questo discorso non va letto in chiave morale, ma in chiave sociale: perché è la nostra società che si sterilizza nel banale. Una società che non ha che questi pseudovalori non può rendersi conto che solo in parte la felicità è libertà dal bisogno e ancor meno può capire che non c’è progresso sociale senza recupero di valori collettivi, universalmente accettati.
Lo stesso discorso si applica alla politica.

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